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24 settembre 2007

Design: Per Arte O Per Business? Le Politiche Del Design

Paul Rand, uno dei più prolifici graphic designer Americani di successo del secolo scorso, ha lasciato in questo breve saggio i fondamenti della cosiddetta "politica del design".

La filosofia del design di Rand rimane valida per chiunque sia interessato a comprendere meglio l'arte del design, e come questo ruolo possa esprimersi al meglio nel mondo del business professionale.

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Foto credit: Ann Triling

In questo breve saggio Paul Rand analizza ed evidenzia alcuni degli stereotipi che riguardano il design ed il modo in cui i designer vengono trattati nelle aziende. La scena tipica che egli racconta è quella in cui "un dirigente senza esperienza e molto ansioso aspetta in maniera innocente, o addirittura chiede, di vedere non una ma diverse soluzioni per un problema". Chi, lavorando nella comunicazione o nella formazione non si è trovato nella stessa situazione?

Oppure la situazione in cui chi non ha né diritto né competenza ottiene un ruolo decisionale per valutare se un design sia ok o meno.
Come può il design raggiungere un equilibrio tra le forti spinte pragmatiche proprie di chi fa business e la colta sensibilità visiva di un designer?

"Sebbene siano coinvolti indirettamente in giudizi estetici (scegliendo l'azienda che curerà la stampa, il produttore della carta, il tipografo e gli altri fornitori coinvolti in questo processo), coloro che si occupano degli acquisti sanno ben poco in merito a pratiche e procedure di design, insensibili ai dettagli qualitativi e inconsapevoli delle reali necessità di marketing.

Concentrati solamente e giustamente sul contenimento dei costi, confondono erroneamente l'eleganza con la stravaganza e la parsimonia con un saggio giudizio di business."

I designer devono costantemente affrontare questa realtà ben poco accogliente. Quanto più possono analizzare e comprendere i motivi e le ragioni che sottostanno a tali comportamenti tipici degli uomini di business, tanto più potranno essere in grado di disporre delle giuste argomentazioni per fronteggiare queste situazioni al loro stesso livello.

 

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Photo credit: Murat Baysan



Le Politiche Del Design

di Paul Rand

Non è un segreto che il mondo reale in cui operano i designer non è il mondo dell'arte ma il mondo dell'acquisto e della vendita. Non è il design la ragion d'essere di ogni azienda, sono le vendite.

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Al contrario di coloro che si occupano di vendere, la motivazione principale di un designer è l'arte: l'arte al servizio del business, l'arte che migliora la qualità della vita e permette di apprezzare in profondità la realtà in cui viviamo.

Il Design può essere assimilato ad un'attività di problem-solving. Fornisce i mezzi per chiarire, sintetizzare, drammatizzare una parola, un'immagine, un prodotto, un evento.

Una seria barriera alla realizzazione di buon design, comunque, sono i vari livelli decisionali presenti in ogni struttura burocratica. Oltre il mero pregiudizio o la semplice inconsapevolezza, si incontrano tali assurdità a seconda di chi gioca ad indovinare, chi fa l'inchino alla cinese, chi si atteggia a genio, chi è affetto da pignoleria acuta, chi trama nascostamente per essere promosso, e tanto meno tali istituzioni di passaggio come la riunione del comitato e l'unità operativa.

La questione, a quanto sembra, non è né la cattiva volontà né la stupidità, ma l'umana fragilità.



Il tranquillo funzionamento di un processo di design può essere ostacolato in diversi modi dall'inconsapevole dirigente, che quando si tratta di design non capisce né il suo ruolo né tantomeno quello del designer; dal pubblicitario entusiasta ma prudente il cui scopo è quello di soddisfare il cliente; e dal cliente insicuro che basandosi su strampalati sondaggi e ricerche pseudo-scientifiche fa domande a cui nessuno potrebbe rispondere e dà risposte piuttosto discutibili.

Fino a quando la funzione design nelle aziende sarà strutturata in modo tale da permettere anche all'ultimo responsabile di avervi accesso, cercare di fare un buon lavoro sarà spesso un esercizio futile.

L'ignoranza della storia e della metodologia del design -- come si concepisce un lavoro, come viene prodotto e riprodotto - incrementa le difficoltà ed alimenta le incomprensioni.



Il Design è uno stile di vita, un punto di vista.

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Implica l'intero complesso della comunicazione visuale: talento, abilità creativa, abilità manuali, e conoscenze tecniche.

Estetica ed economia, tecnologia e psicologia, sono intrinsecamente correlate all'intero processo.



Uno dei problemi più comuni che tende a generare dubbi e confusione è causato da un dirigente senza esperienza e molto ansioso che aspetta in maniera innocente, o addirittura chiede, di vedere non una ma diverse soluzioni ad un problema.

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Questi possono includere diversi concetti visuali e/o verbali, una scelta di differenti layout, una varietà di immagini e di schemi di colori, ed anche la scelta degli stili tipografici.

Egli ha bisogno di essere rassicurato dai numeri e di avere l'opportunità di esercitare le sue preferenze personali. E' anche probabilmente colui che insisterà su infinite revisioni con scadenze non realistiche, aggiungendo un rituale di inutilità e perdita di tempo a ciò che già di per per sé lungo.

In teoria, moltissime idee possono dar luogo a molteplici scelte, ma queste scelte sono essenzialmente quantitative.

Il processo è tanto confusionario quanto dispersivo. Scoraggia la spontaneità, incoraggia l'indifferenza e molto spesso produce risultati indistinti, ben poco interessanti ed assolutamente inefficaci. E di solito è rarissimo avere tante buone idee.

Un designer che presenti volontariamente al suo cliente un certo numero di layout non dimostra di essere prolifico, ma dimostra fa per incertezza o paura.

Incoraggia così il cliente ad assumere il ruolo di decisore. Nel caso vi sia davvero bisogno di produrre più alternative, comunque, un abile designer è in grado di produrre un ragionevole numero di buone idee. Ma una cosa è fornire più quantità per soddisfare una domanda sofisticata, tutt'altra farlo per scelta.

Il design è un'occupazione che richiede molto tempo. Qualsiasi abitudine di lavoro abbia, il designer riempie parecchi cestini di carta prima di produrre una buona idea.

Le agenzie pubblicitarie possono essere particolarmente colpevoli di questa lotteria. Piegati ad impressionare il cliente con il proprio ardore, presentano diversi layout, molti dei quali sono interpretazioni superficiali di potenziali buone idee o fiacche riproposizioni di quelle già trite e ritrite.



Le frequenti ri-assegnazioni di un lavoro nell'ambito di un business in corso sono ulteriori impedimenti di cui spesso il management non è neanche consapevole.

Di frequente, persone senza alcuna qualifica ad esprimere giudizi sul design, sono collocate in posizioni che richiedono una capacità di valutazione verso il design. La posizione di autorità viene allora utilizzata come prova di esperienza nel settore.

Mentre la maggior parte delle persone accetterà di buon grado e apprezzerà le critiche che provengono da una fonte autorevole e riconosciuta come tale, ne risentiranno (apertamente o meno) invece quando proverranno da chi può esprimere un giudizio solo perché è in una posizione di potere, persino se il management è altamente qualificato intellettualmente o si auto-professa possessore di "buon gusto". La questione non è il diritto, o addirittura l'obbligo, di mettere in dubbio ciò che si fa, ma il diritto di dare giudizi sul design.

Questo abuso del privilegio è un disservizio per il management ed è contro-produttivo per il buon design. L'abilità nella business administration, nel giornalismo, nella contabilità o nelle vendite, sebbene necessaria nelle sedi appropriate, non è abilità quando si tratta di problemi che hanno a che fare con gli aspetti puramente visuali. Chi vende i sistemi più sofisticati per composizioni tipografiche su computer è raramente la persona più adatta per apprezzare la fine tipografia o le proporzioni eleganti.

Attualmente la quantità esorbitante di design pessimi che vediamo in giro può essere probabilmente attribuita tanto ad ottimi commerciali quanto al cattivo gusto.

Occupandosi profondamente di ogni aspetto del processo produttivo, il designer deve spesso combattere con personale della produzione totalmente inesperto e con procedure di acquisto estremamente dispendiose in termini di tempo, e ciò può soffocare l'entusiasmo, la creatività e l'istinto.

Sebbene siano coinvolti indirettamente in giudizi estetici (scegliendo l'azienda che curerà la stampa, il produttore della carta, il tipografo e gli altri fornitori coinvolti in questo processo), coloro che si occupano degli acquisti sanno ben poco in merito a pratiche e procedure di design, insensibili ai dettagli qualitativi e inconsapevoli delle reali necessità di marketing. Concentrati solamente e giustamente sul contenimento dei costi, confondono erroneamente l'eleganza con la stravaganza e la parsimonia con un saggio giudizio di business.

Purtroppo questi problemi non riguardano solo l'organizzazione burocratica delle corporation.

Artisti, scrittori e tutti coloro che si occupano di comunicazione e di arti visive, nelle istituzioni come nel settore privato, nelle scuole o nelle parrocchie, devono costantemente affrontare coloro che non ne capiscono molto e che quindi trattano con indifferenza le loro idee.



Il designer è la figura più vulnerabile perchè nel design ognuno può dire la sua. "So quello che mi piace" è tutta l'autorità necessaria per supportare le proprie aspirazioni critiche.

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Come l'uomo d'affari, il designer ha molte fragilità. La differenza è che quelle di quest'ultimo spesso non sono articolate, e questo è un problema serio in un'arena nella quale spesso si presentano difficoltà di tipo semantico.

Questo è molto più pertinente al graphic design piuttosto che ai settori dell'architettura o industriale, perché il graphic design è molto più aperto alle preferenze estetiche piuttosto che a quelle funzionali.

La caparbietà può essere una delle qualità più ammirevoli del designer o forse la più nota (dipende dai punti di vista) - un onesto rifiuto del compromesso, o un mezzo per camuffare l'inadeguatezza.

I clichè del design, gli schemi privi di significato, le illustrazioni eleganti e le soluzioni predeterminate sono segni di tale debolezza.

La capacità di comprendere il valore del modernismo e conoscere la storia del design, della pittura, dell'architettura e di altre discipline, sono qualità che distinguono il designer professionista e che rendono più significativo il suo ruolo, ma non sono punti forti che appartengono a tutti i designer.



Il designer, in ogni caso, ha bisogno di tutto il supporto possibile, per la sua unica e non invidiabile posizione. Il suo lavoro è soggetto ad ogni tipo di interpretazione possibile e ad ogni microscopico dato di fatto trovato. Ironicamente, non cerca solamente l'applauso di chi conosce il design, ma anche l'approvazione da parte delle folle.

Un salutare lavoro di relazioni non solo è possibile ma diventa essenziale. I designer non sono sempre intransigenti, ma nemmeno commerciali incapaci di distinguere la qualità.

Molte agenzie pubblicitarie responsabili non sono inconsapevoli del ruolo che gioca il design come forza comunicativa. Così come chi paga il conto, il businessman comprensivo e che capisce qualcosa non è neanche un'illusione. E' professionale, obiettivo e attento alle nuove idee. Sa riconoscere a chi appartiene la responsabilità e non si sente insicuro di riconoscere che non è esperto del settore. E' anche capace di fornire un ambiente armonioso in cui le buone intenzioni, la comprensione, la spontaneità e la fiducia reciproca - qualità così essenziali per il lavoro creativo - possano fiorire.



Allo stesso modo, il graphic designer competente è un professionista il cui universo si divide tra entusiasmo e pragmatismo.

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E' capace di distinguere tra ciò che va di moda e le innovazioni, tra l'oscurità e l'originalità. Utilizza la libertà di espressione non come una licenza per idee astruse, e la tenacia non come stupidità ma come evidenza delle sue convinzioni. E' uno spirito indipendente guidato da uno "standard artistico interiore di eccellenza" piuttosto che dalle influenze esterne.

Nel momento in cui capisce che il buon design deve sottostare ai rigori del mercato, crede che senza un buon design il mercato sia una vetrina di creazioni visuali volgari. Le arti creative hanno sempre lavorato in condizioni avverse.



Le emozioni soggettive, e le opinioni sembrano essere concomitanti alle questioni artistiche. I laici si sentono insicuri e goffi nel prendere decisioni riguardanti il design, benché pretendano di farle con un certo know-how. Ad ogni modo, piaccia o no, le condizioni imposte dal business implicano che molti siano inestricabilmente coinvolti in problemi in cui il design stesso gioca il suo ruolo.

Per la maggior parte, la creazione o gli effetti del design, a differenza di quanto accade per la scienza, non sono né misurabili né prevedibili, e nemmeno i risultati sono necessariamente ripetibili.

Se ci fosse qualche tipo di assicurazione, a parte la fede, che un businessman potrebbe avere, questa è la scelta di designer di talento, competenti e di grande esperienza.

Scritto da Paul Rand ed estratto dal suo libro "A Designer's Art". Versione Italiana a cura di Caterina Policaro - per un feedback editoriale scrivi a Robin.Good[at]masternewmedia.org.




Notizie sull'autore

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Paul Rand (nato a Peretz Rosenbaum, il 15 Agosto 1914 - deceduto il 26 Novembre 1996) è stato un graphic designer Americano molto conosciuto, soprattutto per il design di loghi aziendali. Rand frequentò il Pratt Institute (1929-1932), e l'Art Students League (1933-1934). Fu uno dei fondatori dello Swiss Style nel graphic design. Dal 1956 al 1969, e poi ricominciando nel 1974, Rand insegnò design alla Yale University in New Haven, Connecticut. Rand fu inserito nel New York Art Directors Club Hall of Fame nel 1972. Ha disegnato molti poster e marchi aziendali inclusi i loghi di IBM, UPS e ABC. Rand morì di cancro nel 1996. Fonte: Wikipedia



Foto credits:
Occhi - Foto credit: Petr Gnuskin
Occhio del Businessman - Foto credit: Gabriel Moya
Lettera D - Foto credit: Villedieu Cristophe
Simbolo del Tao - Foto credit: Stelian Ion

 
 
 
 
 
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